Scafati
Non tutti conoscono Scafati; molti conoscono Pompei, che confina con Scafati, molto più piccola, ma famosa per gli scavi archeologici e per il Santuario della SS. Madonna del Rosario. Tante persone non sanno che nei primi anni del '900, il territorio di Pompei apparteva a Scafati. Oggi Scafati è conosciuta e rinomata per i suoi aspetti negativi; al primo posto c'è senz'altro il fiume Sarno: mi trovo a parlare con qualcuno che non conosce la mia città, mi basta nominare il fiume più inquinato d'Italia, per avere come risposta " ah si, ho capito: quel paese del napoletano attraversato da quella "fogna a cielo aperto" e caratterizzato da tutti e solo i problemi dell'interland napoletano". Ma non è così: Scafati è una città di 50.800 abitanti della provincia di Salerno, di cui occupa la parte più settentrionale, confinante con la Provincia di Napoli. È ubicata a sud del Vesuvio e, pertanto, prende parte ai cosiddetti Paesi Vesuviani. Geograficamente appartiene all'Agro Nocerino Sarnese di cui è la prima città per numero di abitanti. Il suo territorio è attraversato dal fiume Sarno che taglia la città in due parti, una rivolta verso Napoli e l'altra verso Salerno. Fu importante centro industriale tessile e dell'armeria sotto il glorioso Regno delle Due Sicilie. Infatti, l'allora Re Ferdinando II istituì un Polverificio e realizzò un opera di rettifica del basso corso del Fiume Sarno per il trasporto delle polveri da sparo dall'opificio verso il mare, intervento che risolse anche diversi problemi per la popolazione legati alle continue esondazioni del fiume. Inoltre, sempre sotto la reggenza di Ferdinando II delle Due Sicilie, fu costruito uno scalo ferroviario sulla allora prima linea ferroviaria d'Italia Napoli-Portici-Nocera.
Il toponimo "Scafati" deriva dal termine "scafa", ossia "battello fluviale", che a sua volta deriva dal latino "scapha". Tali mezzi, chiamati poi "lontri", simili alle gondole, ma con fondo piatto, erano fondamentali mezzi per la navigazione del fiume Sarno. Ed è proprio per questa ragione, ma anche per il fatto che i palazzi del centro si affacciano pittorescamente sul fiume, la città di Scafati era un tempo indicata con il nome di "Piccola Venezia".
La città di Scafati accoglie scuole di tutti gli ordini e gradi. Si segnalano in particolare le due scuole medie superiori di secondo grado statali: il Liceo Scientifico Renato Caccioppoli e l'I.T.I.S. Antonio Pacinotti.
Il 7 novembre 1999 a Scafati è stata fondata una Scuola della Canzone Napoletana dedicata a Roberto Murolo - Città di Scafati con una serata inaugurale tenuta presso “Villa Nunziante”.
Il 7 novembre 1999 a Scafati è stata fondata una Scuola della Canzone Napoletana dedicata a Roberto Murolo - Città di Scafati con una serata inaugurale tenuta presso “Villa Nunziante”.
Scafati ha anche partorito artisti del rango di Neffa.
Per quanto riguarda lo sport, come non citare la pallacanestro? La Legea Scafati nella stagione 2006/2007 ha disputato il suo primo campionato di serie A, concludendolo con un onorevole 10° posto. Inoltre è bacino di utenza per molti giovani dell'area vesuviana e dell'agro nocerino sarnese essendo un vero e proprio punto di riferimento sotto molti punti di vista. Il suo Palazzetto dello Sport, nonostante sia solo una tendostruttura, può contenere 3700 spettatori. In occasione della gara contro i campioni d'Italia di Treviso (2006) si è raggiunto il tutto esaurito.
La squadra di calcio locale è la Scafatese Calcio 1922, che nella stagione 2006/2007 dopo un campionato al vertice ha conquistato la promozione in serie C2.
S. Maria delle Vergini - Patrona di Scafati
La Chiesa di S. Maria delle Vergini rappresenta la memoria storica della vita religiosa e spirituale della nosra comunità. Ha origini remote, ma non precisabili.
Sotto la cupola è posta un'epigrafe in cui si legge: "Mariae Virgini ante partum, in partu, post partum hoc templum dicatum", a ricordare ai fedeli che la Chiesa di S. Maria delle Vergini, aveva, come Patrona, S. Maria del Parto, cui era dedicata una cappella cinquecentesca, posta sulla navata sinistra (tale cappella non esiste più).
Accanto alla Chiesa è stata edificata una Cappella, sede della Congrega di S. Maria delle Vergini, dove si venera anche l'omonima statua lignea, scolpita, sembra, nel 1713, dal maestro Nicola Fumo.
Come filo simbolico con l'antica denominazione di S. Maria del Parto, la Madonna viene raffigurata incinta, con il volto di ragazza che brilla di una bellezza unica e ricopre, con il suo ampio manto, due giovani vergini poste in ginocchio ai suoi piedi, in atto di preghiera e di affidamento.
Il gesto di protezione ricorda che, fra i vari propositi della Madonna, c'era anche quello di provvedere, ogni anno, a procurare marito alle ragazze più povere del paese, maggiormente esposte alle tentazioni, affinché non cadessero nel vizio.
Tale usanza era presente in molte città fino agli inizi del Novecento.
Secondo la tradizione, l'immagine di S. Maria del Parto, era destinata ad un altro paese, ma passando per Scafati, giunta in prossimità del ponte sul fiume Sarno, in piazza Vittorio Veneto, sopra un carro trainato da buoi, divenne di tale pesantezza, da non potersi più muovere. Solo quando i presenti pensarono di portarla nel vicino Tempio, fu possibile rimuoverla.
La statua è stata sottoposta a restauro molte volte.
Nel 1882 fu salvata dall’incendio che divampò nella confraternita, ove era riposta, nella notte del 2 febbraio dello stesso anno. Molto probabilmente l’incendio fu causato dai ceri lasciati accesi per la festa della candelora.
In occasione del centenario dell’incoronazione, avvenuta nel 1906, è stata sottoposta ad un restauro, che ha riportato alla luce i colori originali dell’opera.
In occasione del centenario dell’incoronazione, avvenuta nel 1906, è stata sottoposta ad un restauro, che ha riportato alla luce i colori originali dell’opera.
La chiesa di Santa Maria delle Vergini nasce con le caratteristiche di una chiesa recettizia, divenuta poi collegiata numerata con sedici canonici portati a ventiquattro a metà del secolo XIX. La collegiata era una piccola unità pastorale. Parroco e confratelli sacerdoti avevano l’obbligo morale di provvedere al bene spirituale dei fedeli. La parrocchia nel corso della storia ha avuto una funzione centrale nella vita religiosa e civilEssa dava vita ad un vero e proprio movimento di pensiero e di azione che aveva come scopo la formazione dell’uomo sotto ogni aspetto umano, culturale e religioso.
Un primo gruppo parrocchiale, per la formazione, cristiana, nasce nel 1921 col parroco Rioles, anche se il gruppo esisteva già dal 1911, allorquando la principessa Giustiniani Bandini, fondatrice dell’Unione delle Donne Cattoliche, diede vita a Scafati al Comitato parrocchiale che comprendeva donne coniugate e nubili dai diciotto anni in su alla presenza del Vescovo Renzullo. Nasce così la Gioventù Femminile per rispondere a nuove sfide ideologiche che si presentarono a Scafati. L’opera di apostolato laicale è stata realizzata nel e. corso della storia grazie all’abnegazione di tante donne che hanno consacrato la loro vita alla causa della religione e che ancora oggi se ne conserva memoria dei loro nomi.
Un primo gruppo parrocchiale, per la formazione, cristiana, nasce nel 1921 col parroco Rioles, anche se il gruppo esisteva già dal 1911, allorquando la principessa Giustiniani Bandini, fondatrice dell’Unione delle Donne Cattoliche, diede vita a Scafati al Comitato parrocchiale che comprendeva donne coniugate e nubili dai diciotto anni in su alla presenza del Vescovo Renzullo. Nasce così la Gioventù Femminile per rispondere a nuove sfide ideologiche che si presentarono a Scafati. L’opera di apostolato laicale è stata realizzata nel e. corso della storia grazie all’abnegazione di tante donne che hanno consacrato la loro vita alla causa della religione e che ancora oggi se ne conserva memoria dei loro nomi.
La Madonna Dei Bagni
La località “Fosso dei Bagni” è una piccola contrada di Scafati, da cui prende il nome il "Santuario di S. Maria Incoronata dei Bagni", famoso e conosciuto tempio religioso che festeggia la Vergine dei Bagni durante il periodo dell’Ascensione.
Si narra che, intorno al 1500, un maialino schifoso, con numerose piaghe sul corpo, scavando nei pressi dove attualmente vi è la Chiesa, mise alla luce, immerso nell'acqua, un quadro ovale su cui vi era un'immagine della Madonna. La bestiola, bagnandosi, miracolosamente, guarì dalle piaghe. Da qui il nome di "Fosso della scrofa". Chi assistette all'evento, subito gridò al miracolo e la notizia si divulgò al punto che accorsero persone da ogni parte, affette da male cutaneo, ritornando guarite alle loro case. Tant'è vero che, secondo le credenze popolari, ci si recava per curare le malattie della pelle ("si tiene 'a rogna, jesce 'e Vagne").
La notizia giunse anche nella città di Napoli, dove già era in piedi qualche ospedale, come quello degli Incurabili, il quale, avvalendosi della disponibilità di un facoltoso cittadino di Nocera dei Pagani, pensò d'impiantare, presso la fonte, una modesta casa di cura con l'annessa cappella.
Si narra che, intorno al 1500, un maialino schifoso, con numerose piaghe sul corpo, scavando nei pressi dove attualmente vi è la Chiesa, mise alla luce, immerso nell'acqua, un quadro ovale su cui vi era un'immagine della Madonna. La bestiola, bagnandosi, miracolosamente, guarì dalle piaghe. Da qui il nome di "Fosso della scrofa". Chi assistette all'evento, subito gridò al miracolo e la notizia si divulgò al punto che accorsero persone da ogni parte, affette da male cutaneo, ritornando guarite alle loro case. Tant'è vero che, secondo le credenze popolari, ci si recava per curare le malattie della pelle ("si tiene 'a rogna, jesce 'e Vagne").
La notizia giunse anche nella città di Napoli, dove già era in piedi qualche ospedale, come quello degli Incurabili, il quale, avvalendosi della disponibilità di un facoltoso cittadino di Nocera dei Pagani, pensò d'impiantare, presso la fonte, una modesta casa di cura con l'annessa cappella.
Durante la costruzione degli edifici, alcuni venditori di vivande della contea di Real Valle di Pompei, ricorsero al feudatario, reclamando che gli artigiani, costruendo le baracche per alloggiarvi e, alimentandosi frugalmente, avevano fatto assottigliare i loro guadagni. Il feudatario fece incendiare le baracche e gli operai costretti a dormire allo scoperto. Ma..., per celeste punizione, il feudatario e la sua famiglia furono attaccati dalla lebbra, da cui guarirono perchè si immersero nella vasca miracolosa.
Accrescendo la devozione dei fedeli, fu avvertito il bisogno di adornare la cappella con un dipinto. Il Capitolo della Collegiata di S. Giovanni Battista di Angri ne curò e ne ordinò l'esecuzione all'artista Simone Villano di Torre del Greco.
La cornice fu confezionata in legno con rabeschi e cartocci, da ognuno dei quali, rimbalzava un puttino nudo (Vitolo, cit.).
Il dipinto è scomponibile in due sezioni. La parte superiore, raffigurante la relazione tra Madre e Figlio, còlta non nell'atto del concepimento o dell'assunzione al cielo, bensì in quello della Passione del Salvatore, espressa dalla Croce, simboleggia il mistero della vita futura, più ricca di promesse spirituali e più rassicuratrice.
La parte inferiore è caratterizzata da più immagini: sullo sfondo si intravede il Vesuvio, poi gli ammalati che fanno il bagno nell'acqua miracolosa, infine, S. Giovanni Battista (patrono di Angri), che, percorrendo l'opera di riscatto compiuta dal Cristo con la morte, si ritrasse in una vita di profonda penitenza, chiamando gli uomini a fare altrettanto, in preparazione del riscatto definitivo; e ... S. Giovanni l'evangelista, colui al quale Cristo affidò la propria Madre, come a suggellare la certezza che Maria sarebbe stata anche la Madre dell'umanità. Dunque, è intuibile la funzione mediatrice di Maria, ai fini della concessione della Grazia Divina.
Nel 1928, in seguito alla costituzione del nuovo Comune di Pompei, il Governo fascista, tolse alcuni territori al Comune di Scafati, per aggregarli a quelli di nuova istituzione; allo stesso tempo, tolse alcuni territori al Comune di Angri e li assegnò al Comune di Scafati. Tutto ciò fu sancito con la legge del 25 marzo 1928, n. 625, per il cui effetto, il Santuario dei Bagni fu compreso nel territorio ceduto al Comune di Scafati. Si venne, però, a creare un'incredibile, incresciosa situazione giurisdizionale: il Santuario, per essere stato annesso a Scafati, avrebbe dovuto far parte della Diocesi Nolana, ma continuò a dipendere da quella di Nocera.
Non mancarono momenti di tensione, risolti dall'autorevole saggezza e coraggio del Rettore Caputo, il quale inviò anche un telegramma di ringraziamento al Capo del Governo, Benito Mussolini.
Lavoro diplomatico fu svolto anche dal Podestà di Scafati, Dr. Pasquale Vitiello, il quale, nel prendere possesso dell'annessa contrada, inviò il riuale saluto alla popolazione della zona.
Nel 1932 l'Ordinario Diocesano di Nocera e il Provinciale dei Frati Minori della Provincia di Principato Citra, decisero di porre fine al rettorato nel Santuario e di delegarne l'ufficiatura agli stessi Francescani Minori. Non mancarono svariati ostacoli. Si arrivò agli anni dell'ultimo conflitto mondiale, senza concludere nulla.
La furia bellica si abbattè sulla Valle e distrusse gran parte del Santuario e infine, l'abitazione dei Frati, i quali, anziché rifugiarsi presso il convento di Nocera, si rimboccarono le maniche e, con l'aiuto del popolo, dopo 2 anni, nel 1945, riuscirono a riaprire il Santuario alla pietà e al culto dei fedeli.
Lungo la strada, nei pressi del Santuario, fecero la loro comparsa i torronari, i venditori di orci di terracotta e di bocce, di limoni, di zuppiere colme di gamberetti del Sarno fritti e impepati e...i primi oggettini sacri aventi stretta affinità con la festa.
I signorotti del napoletano raggiungevano Bagni con il "Bleak", vettura di lusso trainata da cavalli dove prendevano posto le "maeste ncannaccate", signore con vistosi gioielli al collo.
I contadini invece si servivano dei comuni carretti che per l'occasione "annoccavano" (addobbavano) con fronde e fiori di carta velina, per copertura, come riparo dal sole, venivano sistemate delle lenzuola. Da tali carretti deriva il nome "'O Carrettone 'e Vagne". Il "Carrettone" era preceduto, nel suo "viaggio", da un folto gruppo di ragazzi che indossavano "antrite", collane di noccioline e castagne e che "guidavano" il tipico "chirchio", cerchio di bicicletta o di botte, anch'esso "annoccato" con fiori di carta, penna di gallina e immaginetta della Madonna.
Il Santuario si trova sull'antica strada che porta da Scafati ad Angri. A soli cinquecento metri è situata la Fonte Miracolosa. La chiesa settecentesca, dalle forme ondulate e il campanile quadrato, conserva all’interno altari in marmo policromo dell’epoca. L'interno, ampio e luminoso, è formato da tre grandi navate, tutte coperte a volta. Tutto in stile barocco. Il santuario accoglie i visitatori tutto l’anno, ma si riempie di pellegrini durante la festa della Madonna di Bagni la quale, per tradizione, da anni è una delle feste più importanti della Campania, che raccoglie a sé tanti pellegrini.
La celebrazione parte il mercoledì dell'Ascensione, con la benedizione del fosso, dotato di rubinetti per consentire ai fedeli di bere l'acqua miracolosa dopo averla raccolta nelle mummarelle, le tipiche anfore di creta. Un tempo si svolgeva con l’immersione completa dei fedeli, oggi sostituita da un altro singolare rituale: una vecchietta intinge una piuma di gallina nell’olio santo e benedice tutti i partecipanti. La festa è sempre accompagnata da canti e balli spontanei che si svolgono vicino alla fonte sacra, le tammorre e altri caratteristici strumenti allietano i festeggiamenti fino alla domenica.
Secondo alcuni autorevoli studiosi, la festa rientra nel culto delle "Sette Madonne" in Campnia.
Il 24/11/2008, dopo due anni di duro e impegnativo lavoro, il Rotary Club di Scafati ha consegnato al Vescovo di Nocera Inferiore – Sarno, Mons. Gioacchino Illiano, e al parroco frà Michele Floriano, la cupola affrescata dal pittore Giancarlo Pignataro, il quale, ha saputo raffigurare in questo affresco una storia che appare viva e reale, con il sapore della leggenda che circonda quei luoghi sacri, perfettarmente in linea con il significato degli altri affreschi e dei quadri che ornano il Santuario: testimonianze e racconti di fede per il popolo analfabeta dei secoli passati. Nella prima vela delle quattro che ora ornano la cupola, intitolata L’Intolleranza, viene illustrato l’episodio del nobile a cavallo che frusta i poveri ammalati, attirati dai miracoli e dalle guarigioni, perché infastidito della grandeaffluenza. Sempre secondo la leggenda, avvenne però che il nobile Doria si ammalasse a sua volta e, disperato, ricorresse ai poteri miracolosi della fonte invocando la Madonna e promettendo che avrebbe riaperto la fonte a tutti se fosse guarito. Questo secondo episodio viene raffigurato nella seconda vela, intitolata L’Umiltà. A quel punto niente più ostacola l’afflusso dei pellegrini, e il luogo viene consacrato al culto della Madonna dei Bagni, come raffigurato nella terza vela intitolata L’Armonia. L’ultima tela, intitolata L’Incoronazione, celebra l’apoteosi della Madonna.
La cornice fu confezionata in legno con rabeschi e cartocci, da ognuno dei quali, rimbalzava un puttino nudo (Vitolo, cit.).
Il dipinto è scomponibile in due sezioni. La parte superiore, raffigurante la relazione tra Madre e Figlio, còlta non nell'atto del concepimento o dell'assunzione al cielo, bensì in quello della Passione del Salvatore, espressa dalla Croce, simboleggia il mistero della vita futura, più ricca di promesse spirituali e più rassicuratrice.
La parte inferiore è caratterizzata da più immagini: sullo sfondo si intravede il Vesuvio, poi gli ammalati che fanno il bagno nell'acqua miracolosa, infine, S. Giovanni Battista (patrono di Angri), che, percorrendo l'opera di riscatto compiuta dal Cristo con la morte, si ritrasse in una vita di profonda penitenza, chiamando gli uomini a fare altrettanto, in preparazione del riscatto definitivo; e ... S. Giovanni l'evangelista, colui al quale Cristo affidò la propria Madre, come a suggellare la certezza che Maria sarebbe stata anche la Madre dell'umanità. Dunque, è intuibile la funzione mediatrice di Maria, ai fini della concessione della Grazia Divina.
Nel 1928, in seguito alla costituzione del nuovo Comune di Pompei, il Governo fascista, tolse alcuni territori al Comune di Scafati, per aggregarli a quelli di nuova istituzione; allo stesso tempo, tolse alcuni territori al Comune di Angri e li assegnò al Comune di Scafati. Tutto ciò fu sancito con la legge del 25 marzo 1928, n. 625, per il cui effetto, il Santuario dei Bagni fu compreso nel territorio ceduto al Comune di Scafati. Si venne, però, a creare un'incredibile, incresciosa situazione giurisdizionale: il Santuario, per essere stato annesso a Scafati, avrebbe dovuto far parte della Diocesi Nolana, ma continuò a dipendere da quella di Nocera.
Non mancarono momenti di tensione, risolti dall'autorevole saggezza e coraggio del Rettore Caputo, il quale inviò anche un telegramma di ringraziamento al Capo del Governo, Benito Mussolini.
Lavoro diplomatico fu svolto anche dal Podestà di Scafati, Dr. Pasquale Vitiello, il quale, nel prendere possesso dell'annessa contrada, inviò il riuale saluto alla popolazione della zona.
Nel 1932 l'Ordinario Diocesano di Nocera e il Provinciale dei Frati Minori della Provincia di Principato Citra, decisero di porre fine al rettorato nel Santuario e di delegarne l'ufficiatura agli stessi Francescani Minori. Non mancarono svariati ostacoli. Si arrivò agli anni dell'ultimo conflitto mondiale, senza concludere nulla.
La furia bellica si abbattè sulla Valle e distrusse gran parte del Santuario e infine, l'abitazione dei Frati, i quali, anziché rifugiarsi presso il convento di Nocera, si rimboccarono le maniche e, con l'aiuto del popolo, dopo 2 anni, nel 1945, riuscirono a riaprire il Santuario alla pietà e al culto dei fedeli.
Lungo la strada, nei pressi del Santuario, fecero la loro comparsa i torronari, i venditori di orci di terracotta e di bocce, di limoni, di zuppiere colme di gamberetti del Sarno fritti e impepati e...i primi oggettini sacri aventi stretta affinità con la festa.
'O carrettone d'e Vagne |
I contadini invece si servivano dei comuni carretti che per l'occasione "annoccavano" (addobbavano) con fronde e fiori di carta velina, per copertura, come riparo dal sole, venivano sistemate delle lenzuola. Da tali carretti deriva il nome "'O Carrettone 'e Vagne". Il "Carrettone" era preceduto, nel suo "viaggio", da un folto gruppo di ragazzi che indossavano "antrite", collane di noccioline e castagne e che "guidavano" il tipico "chirchio", cerchio di bicicletta o di botte, anch'esso "annoccato" con fiori di carta, penna di gallina e immaginetta della Madonna.
I pellegrini giungevano al santuario "ncopp' a li traine" (trad. sopra i carri) tirati da "li cavalle 'mpernacchiate" (trad. cavalli adornati a festa) e, una volta arrivati al Tempio, doddisfatti gli obblighi devozionali, davano sfogo alla gioia: "cu putipù, chitarre e castagnelle, s'abballavano li guappe tarantelle" (trad. con putipù, chitarre e nacchere, si ballavano le tarantelle), e sotto "'e frasche d'a campagna, se canta, se pazzea, veve e magna" (Aniello Califano, cit.) ( trad. e, sotto gli alberi, si canta, si gioca, si beve e si mangia).Altre peculiarità del "fosso" sono: la camomilla, i papaveri e "'o Vacille cu' 'e rrose", bacinella con petali di rose maggiaiole e menta profumata, che vengono, secondo la leggenda, benedetti da un "Angelo" che passa nei campi la notte precedente l'Ascensione, donando ai fiori tipici della festa proprietà taumaturgiche e purificatorie. Infatti, la bacinella si lascia fuori tutta la notte, e al mattino ci si lava il viso.
Il Santuario si trova sull'antica strada che porta da Scafati ad Angri. A soli cinquecento metri è situata la Fonte Miracolosa. La chiesa settecentesca, dalle forme ondulate e il campanile quadrato, conserva all’interno altari in marmo policromo dell’epoca. L'interno, ampio e luminoso, è formato da tre grandi navate, tutte coperte a volta. Tutto in stile barocco. Il santuario accoglie i visitatori tutto l’anno, ma si riempie di pellegrini durante la festa della Madonna di Bagni la quale, per tradizione, da anni è una delle feste più importanti della Campania, che raccoglie a sé tanti pellegrini.
La celebrazione parte il mercoledì dell'Ascensione, con la benedizione del fosso, dotato di rubinetti per consentire ai fedeli di bere l'acqua miracolosa dopo averla raccolta nelle mummarelle, le tipiche anfore di creta. Un tempo si svolgeva con l’immersione completa dei fedeli, oggi sostituita da un altro singolare rituale: una vecchietta intinge una piuma di gallina nell’olio santo e benedice tutti i partecipanti. La festa è sempre accompagnata da canti e balli spontanei che si svolgono vicino alla fonte sacra, le tammorre e altri caratteristici strumenti allietano i festeggiamenti fino alla domenica.
Secondo alcuni autorevoli studiosi, la festa rientra nel culto delle "Sette Madonne" in Campnia.
Il 24/11/2008, dopo due anni di duro e impegnativo lavoro, il Rotary Club di Scafati ha consegnato al Vescovo di Nocera Inferiore – Sarno, Mons. Gioacchino Illiano, e al parroco frà Michele Floriano, la cupola affrescata dal pittore Giancarlo Pignataro, il quale, ha saputo raffigurare in questo affresco una storia che appare viva e reale, con il sapore della leggenda che circonda quei luoghi sacri, perfettarmente in linea con il significato degli altri affreschi e dei quadri che ornano il Santuario: testimonianze e racconti di fede per il popolo analfabeta dei secoli passati. Nella prima vela delle quattro che ora ornano la cupola, intitolata L’Intolleranza, viene illustrato l’episodio del nobile a cavallo che frusta i poveri ammalati, attirati dai miracoli e dalle guarigioni, perché infastidito della grandeaffluenza. Sempre secondo la leggenda, avvenne però che il nobile Doria si ammalasse a sua volta e, disperato, ricorresse ai poteri miracolosi della fonte invocando la Madonna e promettendo che avrebbe riaperto la fonte a tutti se fosse guarito. Questo secondo episodio viene raffigurato nella seconda vela, intitolata L’Umiltà. A quel punto niente più ostacola l’afflusso dei pellegrini, e il luogo viene consacrato al culto della Madonna dei Bagni, come raffigurato nella terza vela intitolata L’Armonia. L’ultima tela, intitolata L’Incoronazione, celebra l’apoteosi della Madonna.
L'Abbazia di Realvalle
Carlo I d’Angiò conquistò il Regno di Sicilia grazie a due importanti vittorie: quella di Benevento nel 1266 contro Manfredi e quella di Tagliacozzo nel 1268 contro Corradino. Decise poi di far costruire due abbazie destinate ai Cistercensi: Santa Maria di Real Valle, vicino a Scafati, che ricordasse la battaglia di Benevento, e Santa Maria della Vittoria presso Scurcola Marsicana, in memoria di quella di Tagliacozzo. Per volere dello stesso Carlo la prima risultò filiazione dell’abbazia di Le Loroux in Angiò mentre la seconda di quella di Royaumont, che era stata fondata da suo padre re Luigi VIII.
Nel maggio del 1274 furono gettate le fondamenta di Real Valle alla presenza di due monaci di Royaumont, di un architetto e di quel “Pietro da Chaule” che probabilmente ebbe un ruolo importante sia nel progetto sia nella realizzazione dei due complessi. Nel 1277 Carlo invitò le due abbazie madri ad inviare monaci nelle filiazioni italiane, fece a queste ultime abbondanti donazioni e stabilì che Real Valle avesse maggiore importanza della Vittoria, perché la sconfitta di Manfredi era avvenuta prima di quella di Corradino.
Da questa data in poi le notizie sull’abbazia divengono scarse. Il complesso, distrutto quando gli Angioini furono cacciati (XV secolo), venne ricostruito dai monaci cistercensi in dimensioni ridotte; nel 1623 Real Valle entrò nella Congregazione Romana e passò quindi a quella Calabro-Lucana nel 1765.
Oggi ne rimangono una parte del chiostro e degli edifici conventuali, originariamente destinati ai conversi.
Il Polverificio Borbonico
I Borbone vollero impiantare a Scafati, in sostituzione del polverificio della vicina Torre Annunziata risalente al ‘600, la Real Polveriera, costruita a partire dal 1851 su progetto dell’architetto Luigi Manzella e in conseguenza di ciò il tratto terminale del Sarno venne rettificato e canalizzato per la navigazione.
La fabbrica, che si estende lungo l’austostrada Napoli-Salerno all’altezza dell’uscita in direzione Sud di Scafati, venne chiusa nel 1894 (come accadeva sempre in questi casi, su richiesta pressante della popolazione esasperata dai continui pericolosissimi incidenti) e destinata quindi a sede dell’Istituto Sperimentale Tabacchi (oggi verso in stato di abbandono e se ne attende un urgente recupero e riqualificazione al fine di destinarlo ad attività culturali o di alta formazione). Il complesso è formato da un ampio palazzo su due piani dalle sobri forme ottocentesche con tetto a spioventi, dal quale si estendono, nella parte retrostante, i bracci minori a formare una piazza, dove si affaccia la cappella di S. Barbara e seguito da lunghi padiglioni affiancati da viali di frondosi platani.
La Villa Comunale detta anche "Parco Wenner"
Il parco venne realizzato su un precedente frutteto dall'industriale Freitag, che vi costruì accanto un grande opificio per la tessitura, in seguito trasformato in uno stabilimento conserviero. La famiglia Wenner, che ebbe in seguito in possesso il parco, lo vendette al comune nel 1933, insieme all'edificio residenziale, che fu adibito a sede municipale. Il parco venne affidato a don Umberto Avigliano, economo del comune, che se ne occupò con il giardiniere Francesco Nastri e suo figlio Antonio. Furono costruite delle vasche per le anatre e nel gabbione degli uccelli fu messa una scimmietta di nome Fanny e all’entrata del parco due caprette tibetane. Consiste di un’area di circa 30.000 mq. a pianta irregolare. Il lato nord della Villa comunale confina per tutta la sua
lunghezza con il fiume Sarno fino a raggiungere in direzione est il palazzo Meyer (attualmente adibito a palazzo comunale), il lato sud confina con via Oberdan, il lato est con un ampio parcheggio e a ovest con una fabbrica.
All'interno si trovano ampi viali interni e piazzali, zone sopraelevate circondate da siepi, chiamate "montagnole", e laghetti.Nel lato nord-occidentale vi è una quercia che risale al 1543. La villa conserva inoltre un esemplare di Jubaea spectabilis, unico esemplare presente in Europa.
Il fiume Sarno
Il Sarno è un fiume della Campania che, a dispetto della sua brevità (appena 24 km), può contare su un bacino notevolmente esteso (c. 500 km²). Negli ultimi 50 anni, è diventato noto per essere considerato, insieme ai torrenti Cavaiola e Solofrana (suoi tributari tramite il torrente Alveo Comune Nocerino), il fiume più inquinatod'Europa.
Lo storico Marco Onorato Servio (ad Aeneida, VII 738) ci ha tramandato l’informazione che i primi abitanti della valle furono i Sarrastri, una popolazione pelasgica, proveniente dal Peloponneso, e che furono loro a chiamare Sarno il fiume e se stessi Sarrasti. Il bacino del Sarno, nel senso est-ovest, va dai monti Picentini (in territorio di Solofra) al golfo di Napoli (in Comune di Castellammare di Stabia), mentre, nel senso sud-nord, va dai monti Lattari ai monti di Sarno, per una estensione complessiva di 438 km², interessanti le province di Salerno, Napoli ed Avellino. Dal punto di vista politico-amministrativo, il predetto bacino si compone di 39 Comuni, di cui 18 appartengono alla Provincia di Salerno, 17 alla Provincia di Napoli e 4 alla Provincia di Avellino.
Da qualche anno, con Legge Regionale 29 dicembre 2005 n. 24, è stato istituito l’Ente Parco Regionale del Bacino Idrografico del Fiume Sarno, che abbraccia il territorio dei Comuni di Sarno, San Valentino Torio, San Marzano sul Sarno, Angri, Scafati, Nocera Inferiore, appartenenti alla Provincia di Salerno, e dei Comuni diStriano, Poggiomarino, Pompei, Torre Annunziata e Castellammare di Stabia, appartenenti alla Provincia di Napoli.
Il Sarno nasce, ad una quota di circa 30 metri sul livello del mare, alle pendici del monte Saro, che fa parte del gruppo montuoso del Sant’Angelo-Pizzo d’Alvano, il quale, a sua volta, rappresenta la propaggine occidentale dei Monti Picentini, una catena montuosa a cavallo delle province di Avellino e Salerno, caratterizzata da una distesa forestale di oltre 40.000 ettari e da numerosi torrenti, che rendono quest’area il più ricco serbatoio di acqua potabile dell’Italia meridionale. Il tratto iniziale del fiume, un tempo, era alimentato da diverse sorgenti, ma, a partire dalla metà del secolo scorso, le maggiori portate furono captate per alimentare l’Acquedotto Campano. Il Sarno, comunque, continua ad essere alimentato dalle acque di tre sorgenti, la più importante delle tre è la sorgente denominata Foce, che si trova a nord-ovest della città di Sarno e dalla quale traeva origine anche il Canale del Conte di Sarno, un canale artificiale fatto costruire nel corso del 1500. La seconda sorgente si trova alle spalle del centro abitato ed è conosciuta come Palazzo. La terza è la sorgente Santa Marina e si trova nei pressi di una frazione di Sarno, chiamata Lavorate.
Queste alimentano tre rivoli, il Rio Foce, l’Acqua di Palazzo e l’Acqua Santa Marina, i quali, dopo un percorso, rispettivamente, di 2,5 km, 2 km e 6,7 km circa, si incontrano in una località, nota come l’Affrontata dello Specchio, dopo di che si avviano, come un unico corso d’acqua, lento e sinuoso, verso occidente, segnando, per alcuni tratti, i confini delle province di Salerno e di Napoli, nonché quelli dei Comuni di Sarno, Striano, Poggiomarino, San Valentino, San Marzano, Scafati, Pompei, Castellammare di Stabia e Torre Annunziata.
Dopo l'Affrontata dello Specchio, il fiume, lungo il suo corso, incontra il ponte di S.Marzano e, subito prima, riceve, in riva sinistra, il tributo del Fosso Imperatore e poco più a valle quello del rio San Mauro.
Una volta raggiunto il punto di confluenza con l’Alveo Nocerino, il corso del fiume è caratterizzato da diverse opere idrauliche, che furono realizzate per fronteggiare essenzialmente due problemi: il deflusso delle acque, alterato dai cospicui apporti dell’Alveo Comune Nocerino, e la bassa pendenza del fondo, che si aggira intorno allo 0,1%.
Per fronteggiare i detti problemi, parallelamente al fiume, furono costruiti due alvei artificiali: il rio Mannara (o Controfosso sinistro) e il Canale Piccolo Sarno. A questi due va aggiunto il Controfosso Destro dell’Alveo Nocerino, che, sempre allo scopo di non incrementare la portata del predetto corso d’acqua, sottopassa a sifone l’alveo principale, per confluire nel Controfosso Sinistro, il quale raccoglie anche la modestissima portata di un altro corso d’acqua naturale, il fiumicello di Acquaviva, che un tempo raggiungeva direttamente il Sarno.
Le acque raccolte dal Canale Piccolo Sarno e quelle convogliate dal Controfosso sinistro ritornano nel corso del Sarno alcuni chilometri più a valle: il primo, infatti, si reimmetteva in un’ansa del fiume posta a valle della frazione S.Pietro di Scafati (oggi, invece, mediante un canale che sottopassa il Sarno, raggiunge il Controfosso sinistro), il secondo lo fa a valle della traversa di Scafati.
Nel centro di Scafati, accanto alla Chiesa Madonna delle Vergini, il fiume incontra la traversa di Scafati, che, di fatto, è la versione moderna dello sbarramento fatto costruire nel ‘600 dal Conte di Celano.
In corrispondenza di quest’opera idraulica, il corso d’acqua si suddivide in due parti: il corso principale, che è ancora il fiume vero e proprio, e una sua derivazione, il canale Bottaro. Quest’ultimo, dividendosi dal Sarno, gli sottrae una portata di circa 2.000 litri al secondo, che viene utilizzata in parte per l’irrigazione di terreni, posti lungo la riva destra del fiume, ed in parte per usi industriali. Quello che ne resta ritorna nel Sarno a circa un chilometro dalla foce, a monte dello stabilimento Lepetit. Il canale Bottaro fu costruito contemporaneamente alla più nota traversa, al fine di alimentare alcuni mulini, in località Bottaro appunto, di proprietà di Alfonso Piccolomini d’Aragona, Conte di Celano, e probabilmente con l’ulteriore scopo di fare concorrenza agli eredi del Conte di Sarno, che, pochi anni prima, aveva fatto costruire il canale, che da lui aveva preso il nome.
Dopo un ultimo tratto, che come si dirà più avanti è stato oggetto di rettifica, il Sarno conclude la sua corsa di circa 24 chilometri, arrivando nel Tirreno di fronte al pittoresco scoglio di Rovigliano.
Il Sarno, in epoca antica, al pari di altri fiumi più famosi, svolse un ruolo di promotore della civiltà umana e, per questo, fu adorato come un dio. Di esso è stata tramandata un’immagine quasi univoca e facilmente riconoscibile: un vecchio con la barba, seminudo, disteso su un fianco e circondato da piante fluviali (in genere canne e papiri), nell’atto di reggere un vaso da cui sgorga acqua. La più notevole delle rappresentazioni note del dio Sarno è certamente quella esistente in Sant'Egidio del Monte Albino sul cosiddetto Fonte Helvius.
A seguito dell’eruzione del 79 d.C., buona parte della valle fu ricoperta di materiale vulcanico, il cui spessore variò, in funzione di vari fattori, da pochi centimetri alle decine di metri, ma comunque il risultato fu che sotto quella coltre scomparvero terreni coltivati, case, strade e corsi d’acqua. È probabile che da questo evento il corso del Sarno ne sia uscito fortemente modificato, se non addirittura stravolto, tanto è vero che, qualche centinaio di anni dopo e precisamente nel 553, del fiume si era perso anche il nome.
Oltre alla pesca, alla irrigazione ed al trasporto delle merci, sin da medio evo si ha notizia della esistenza lungo il corso del fiume di numerosi mulini. Tuttavia l'attività, che più di ogni altra caratterizzò il fiume, per le sue ricadute positive (sotto l'aspetto economico) e negative (sotto il profilo sanitario), fu quella delle fusare, una sorta di laghetti artificiali destinati alla coltivazione della canapa.
Dal momento che la valle degrada verso il mare con una pendenza bassissima, il fiume Sarno accumulava sedimenti con una velocità impressionante. Per questa ragione, fin dal medio evo si ha notizia del fatto che le istituzioni, allo scopo di impedire fenomeni di esondazione, provvedevano alla pulizia del fondo del corso d'acqua e alla rimozione della vegetazione (detta moglia), che si formava lungo gli argini. Seguendo, quindi, una consuetudine che si era consolidata nel tempo, la pulizia veniva eseguita a cura della Città di Sarno, ma col concorso nella spesa delle Università di S.Valentino, S.Marzano, Striano e S.Pietro di Scafati. L'operazione avveniva facendo scendere nelle acque del fiume una mandria di bufale (non meno di trenta o quaranta animali), le quali con gli zoccoli agitavano il limo sabbioso del fondale e ne facilitavano il trasporto verso valle da parte della corrente. Oggi però ogni tipo di attività è preclusa visto l'enorme inquinamento del corso d'acqua. Infatti a causa degli sversamenti delle concerie e delle industrie conserviere presenti lungo il flusso del fiume e dei suoi affluenti ogni forma di vita si è estinta e qualunque utilizzo delle acque è pericoloso per la salute. Esse infatti sono maleodoranti e malsane e il loro colore rosso in certi periodi dell'anno (dovuto agli scarti delle industrie per produrre i famosi pomodori San Marzano) ha fatto si che il Sarno venisse soprannominato "Rio Pomodoro".
Prima del 1803, il fiume, una volta giunto a nord di San Marzano, accoglieva in sinistra idraulica il Fosso Imperatore e poco più a valle, il Rio San Mauro. Dal 1803, con l'intervento eseguito dall'allora Soprintendenza dei Ponti e delle Strade (teso a risolvere il problema degli allamenti di Nocera e dei suoi casali), di realizzare canali artificiali per convogliare le acque della Cavaiola e della Solofrana nel Rio San Mauro, si produsse la prima sostanziale alterazione del fiume Sarno, ampliandone artificialmente il bacino e la portata. Con la realizzazione, nel 1857, del canale artificiale denominato Alveo Comune Nocerino, che strutturò definitivamente il corso delle acque congiunte della Solofrana e della Cavaiola, dal Quartiere militare di Nocera Inferiore fino al fiume, in un punto a valle dell'immissione del Rio San Mauro, l'alterazione è divenuta difenitiva.
Agli inizi del 1600, Alfonso Piccolomini, feudatario di Scafati, allo scopo di far funzionare due nuovi mulini di sua proprietà in località Bottaro, fece scavare un canale artificiale e fece costruire uno sbarramento sul corso del fiume. La novità comportò due conseguenze negative: la prima fu una drastica riduzione della navigabilità del fiume e la seconda fu l’allagamento di vaste aree a monte della diga, con danni incalcolabili all’attività agricola ed alla salute delle popolazioni della valle. A seguito di vari ricorsi, fu avviato un giudizio presso il Consiglio Collaterale di Napoli, che si concluse favorevolmente per gli attori, ma solo nel 1630. Sennonché il Conte rimosse la diga, ma, nel 1656, innalzò un nuovo sbarramento e, questa volta, la vertenza diventò addirittura secolare. Nel 1843, infatti, a seguito di un preciso quesito del Re, un Ufficiale del Genio Militare, il Tenente Colonnello Vincenzo degli Uberti, fu chiamato a relazionare circa la possibilità di rimuovere le cause, che rendevano la valle malsana per la stagnazione delle acque del fiume, salvando nel contempo i mulini del feudatario di Scafati.
Si giunse così al 1855, quando la lunga contesa fra Università e feudatari trovò una imprevista soluzione. Ferdinando II, infatti, decise di rendere navigabile il fiume, da Scafati alla foce, in modo che da mare si potesse raggiungere il polverificio che era stato costruito in quella città . Il progetto richiese la rettifica del corso del basso Sarno, la cui lunghezza, eliminando una serie di tortuosità, fu ridotta dai 12 chilometri iniziali a soli 5 chilometri e, nello stesso tempo, comportò la bonifica dei terreni a monte. L’intervento, che durò fino al 1915, recepì l’orientamento di tenere in vita il sistema delle chiuse e di salvare le industrie esistenti.
Bisogna ammettere che si trattò di un intervento che incise profondamente sulla geografia e sulle condizioni igienico-sanitarie della valle, costituendo la premessa per una ripresa economica senza precedenti.
Quando, nel 1860, i Borbone persero il Regno delle due Sicilie, l’orientamento politico mutò. Il Governo post-unitario, infatti, era meno favorevole all’interventismo pubblico, ma questo non bloccò l’attività dell’Amministrazione delle Bonifiche, anzi l'opera di risanamento continuò anche dopo l’Unità d’Italia e, in quel periodo, riguardò soprattutto l’alto corso del Sarno, con interventi di raddrizzamento del corso d’acqua e di eliminazione delle anse (limitatamente al rio Foce) per favorire una maggiore velocità di deflusso. Questi interventi, ritenuti al tempo utili al controllo delle acque, decretarono invece il peggioramento dell'idrologia del fiume che e risultò fortemente stravolta.
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